Negli anni a seguire il mio angioletto lesbico e io rimanemmo sempre molto amiche strette. Alle scuole medie supplicai mia madre di metterci assieme nella stessa classe. Feci il diavolo a quattro perché mi avevano detto che si poteva fare, ma lei, che non voleva favorire l’aderenza con quella bambina (sì, tanto brava e buona e rispettosa, che sembrava tanto un angelo, ma con la quale dovevo aver avuto un qualche approccio sessuale spinto) mi disse che non era vero e che non si poteva fare. Così alle medie finimmo per stare purtroppo in classi diverse. Ma questo non tolse che continuammo a vederci ogni giorno al pomeriggio dopo aver fatto i compiti. E delle volte feci i salti mortali per studiare con lei, una volta scoperto che stessimo studiando gli stessi argomenti.
Adoravo quella bambina, era il mio amore. La vedevo perfetta. In realtà avrei tanto voluto esser come lei, avrei voluto suscitare le emozioni che lei sempre suscitava nelle persone. Lei era bellissima e se si doveva fare una recita, il primo nome proposto per la principessa era sempre il suo. Lei non poteva che essere amata da tutti, perché era buona, discreta, riusciva in tutto quello che faceva e con lei la gente tendeva a esser sempre un po’ più gentile. E che era bellissima l’ho già detto. ;P
Anche io ero bella e, se vogliamo, risaltavo molto più di lei, ma più per la mia esuberanza che per la mia bellezza. In genere comunque la metà delle persone con cui venivo a contatto presto si convinceva che dovevo essere una scassacazzo e quindi aveva più da rimetterci che da guadagnarci dalla mia compagnia; così mi lasciava stare sperando che invece io non mi fossi messa in testa l’idea di tampinarla. Così si può dire che metà delle persone mi hanno sempre amato, mortalmente attratti da me; mentre l’altra metà mi ha sempre rifiutato o invidiato…
D’altro canto, mentre io ammiravo il mio angioletto e avrei voluto essere come lei, segretamente per lei era lo stesso nei miei confronti. Ammirava la mia faccia tosta, che non arretrassi mai, che nessuno fosse in grado di farmi cambiare idea, o di non farmi portare avanti le mie posizioni. Ammirava anche, una volta mi disse, che nessuno potesse rendermi triste nel momento in cui io volevo essere felice, passandola liscia. Se qualcuno proprio si impegnava a spegnermi il sorriso, io, o non cedevo a quei biechi sentimenti di odio purissimi, oppure gliela facevo pagare. Per esempio a scuola c’erano molti ragazzini che cacavano il cazzo alle ragazze. Anche con me ci provarono. Risultato: se l’unico modo per opporsi loro era quello di farci a botte, io accettai di farlo. Così cominciai a essere considerata l’indomita Giovanna d’Arco bambina che non chinava mai la testa di fronte a nessuno, neppure all’alterigia dei maschi, quella che ci faceva pure a botte e colpiva dritto ai coglioni.
La mia nomea si sparse rapidamente per la scuola e divenni un simbolo. Divenni la suffragetta che si batteva per i diritti delle donne, la ribelle, l’indomabile. E certi ragazzini cominciarono ad aver pure paura di me. Per questo in seguito si sarebbero riuniti assieme per vendicarsi di brutto – ma questa è un’altra storia…
in quel periodo io e il mio angioletto ci abbracciavamo frequente strette strette, talvolta ci davamo anche i baci, ma non avemmo più approcci che avessero potuto considerarsi realmente sessuali. Alcuni di quegli atteggiamenti invece tornarono a manifestarsi quando facemmo il liceo… D’altronde per me lei rappresentava il mio amore supremo, sì, ma era anche un amore platonico, ideale, quasi immaginario. Ormai la mia attenzione sessuale era passata ai ragazzi, i quali in genere mi sembravano troppo stupidi o ruvidi per me, è vero, ma certo ne ero ugualmente molto attratta fisicamente. Non potevo supporre che per lei invece rappresentassi davvero l’amore della sua vita, in tutti i sensi.